In quest’occasione analizzeremo le conseguenze dell’uso della modellazione digitale in un intervento di recupero edilizio che interessi un edificio di pregio storico, valutando in concreto strumenti e risultati reali.
Questa precisazione si rende necessaria soprattutto tenendo presente i principi su cui si basa la tecnologia BIM e sulle ragioni della sua diffusione ed utilizzo. Si tende infatti spesso a confondere o identificare l’approccio BIM con la modellazione 3D, ritenendo che questa terminologia ne sia sinonimo.
I modelli 3D di opere architettoniche - siano esse di pregio storico o comunque già esistenti o classiche come quelli di edifici progettati ex novo - sono realizzati con programmi ormai famosi e performanti quali Autodesk 3DStudio Max, Sketchup, Rhino e così via, col fine di offrire una visualizzazione preliminare del manufatto, o conclusiva, di come avverrà la trasformazione di un’opera per scopi divulgativi, commerciali o valutativi dell’impatto visivo.
In tal senso non vi è necessità di avere informazioni e dati associati alle geometrie rappresentate tridimensionalmente o relative agli elementi del sistema tecnologico di cui è composta una data costruzione, siano essi componenti di tipo tradizionale (murature, coperture in legno, modanature e decorazioni architettoniche scolpite in pietra, archi, volte, capitelli o altri elementi del linguaggio classico) o componenti edilizi moderni di produzione industriale (carpenterie in acciaio, tamponature in pannelli, o telai in cemento armato e murature in blocchi, etc.).
Se la presenza di rendering, walkthrough, animazioni e simulazioni 4D in un flusso di lavoro BIM, come negli elaborati descrittivi 3D, fungono da elementi di presentazione a scopi strategico-decisionali e commerciali, nel caso degli edifici storici il loro intento è prettamente documentale, filologico e archeologico.
Tuttavia, i modelli 3D di tipo BIM hanno finalità ben più estese, quando si progetta o si restituisce un edificio con tecniche di modellazione digitale: l’obiettivo è di creare o riportare il sistema tecnologico con tutte le informazioni qualitative-quantitative e quindi costruttive, per le note finalità di doverne controllare il processo costruttivo e poi manutentivo.
Nella riproduzione di un modello 3D nella sua complessità, le metodologie di rilievo e restituzione tradizionale – quali ad esempio la misurazione in loco di tipo piano – devono essere integrate con il maggior numero di informazioni. In quest’ottica le scansioni 3D in alta definizione permettono un rilievo completo ed esatto del manufatto, perché fotografato da ogni direzione, e forniscono le informazioni spaziali utili che occorre rimodellare o restituire.
Le nuvole di punti
Dovendo dare una definizione al concetto di nuvola di punti, possiamo dire che si tratta di un rilievo di tutti i punti spaziali interni ed esterni di un edificio, dove la loro maggiore o minore intensità nell’unità di spazio restituisce un involucro 3D fotografico, effettuato in loco tramite tecnologie basate su volo (quali droni) e spostamento terrestre di scanner spaziali.
Il rilievo completo, in cui le nuvole vengono combinate attraverso un processo di unione ed associazione per punti di scansione e ripulitura, restituisce un conteso spaziale più o meno vasto e quindi più pesante in termini di dato informatico. La stessa nuvola, in rapporto agli elementi che devono essere riprodotti, sarà scomposta in sottoinsiemi di punti per localizzare e circoscrivere la restituzione alla sola porzione di spazio di interesse. Esistono vari formati di nuvole sostanzialmente basati sulla tecnologia delle differenti apparecchiature, quali lidar e laser scan in commercio. Si elencano di seguito i principali formati di nuvole di punti più diffusi:
Tipo di file |
Descrizione |
Utilizzo |
Generato da |
RCP/RCS |
Un file di progetto che punta a nuvole di punti indicizzate e include informazioni quali le aree di scansione definite e altre impostazioni utilizzate per analizzare i dati. |
Creazione di un nuovo progetto che funge da punto di accesso alla nuvola di punti. Di solito raccolti in un Drive accessibile dal team di lavoro. |
Salvataggio di un gruppo di file importati. |
E57, PTS, PCG |
Un singolo file di scansione che combina le informazioni dei file nel progetto. |
Apertura di un file di pacchetto che può essere condiviso con programmi che non sono in grado di leggere i formati RCS o RCP. |
Esportazione di un gruppo di file caricati da un’apparecchiatura di rilevamento. |
Una nuvola viene gestita con software dedicati al caricamento dei formati in cui è salvato il rilievo e alla visualizzazione secondo specifici parametri (intensità di punti, altezza dal suolo, rappresentazione di tematismi), che permettono operazioni di trasformazione delle stesse. Ce ne sono di vari, anche open source: da anni ormai è diffusissimo Autodesk Recap che tratta le nuvole per salvarle in un formato noto come RCP importabile o collegabile ai file di AutoCAD, Revit, Naviswork e ad altri prodotti di progettazione. In Recap, oltre a definirne la visualizzazione, una nuvola può essere scomposta e georeferenziata per condividerne le coordinate spaziali, insieme al modello che ne verrà ricavato. Inoltre, torna utile sezionarla secondo piani di taglio di differente orientamento, per ricavarne la distribuzione planimetrica dell’edifico. Significa che in molti casi, vengono isolate le parti oggetto di rappresentazione, nascondendo il costruito circostante. Allo stesso tempo però il contesto va poi isolato e salvato in un livello dedicato, perché può essere riutilizzato come scenario in cui collocare l’edificio modellato.
Dalle sezioni, inoltre, si ricavano dettagli e particolari da riprodurre (come, ad esempio, il profilo di una modanatura classica o di una trabeazione di stilemi decorativi), operando e salvando gli opportuni ingrandimenti e correggendone la definizione. Ciò necessita che la nuvola abbia una definizione ottimale affinché determinati dettagli vengano distinti, magari riconosciuti automaticamente dal software o selezionati con i comandi di selezione volumetrica, che poi li salvano in sottolivelli della nuvola isolabili e visualizzabili autonomamente.
Modello BIM e modello 3D
Nella distinzione che si fa dunque tra un modello 3D ed un modello BIM la parola chiave è informazione. Ma quali tipi di informazioni serve gestire in un modello BIM e quali invece in un modello HBIM? Cominciamo quindi ad utilizzare le terminologie appropriate, riferendoci ora a quella branca del BIM che si prefigge di utilizzare la tecnologia BIM nel recupero dei monumenti storici e che va sotto il nome di Historical BIM o Heritage BIM, teorizzato nel 2009 dal Prof Maurice Murphy del Dublin Institute of Technology. Questo ci porta a fare distinzione tra modelli digitali di edifici o complessi realizzati ex novo o restituiti ma di epoca moderna o industriale, e modelli di emergenze storiche, complessi monumentali, edifici in stile classico di pregio artistico e/o archeologico e quindi legati a logiche costruttive artigianali, indipendentemente poi dal loro pregio artistico e complessità delle forme.
I dati, in entrambi i casi, sono di natura quantitativa e qualitativa: i primi possono essere misure geometriche come il volume delle strutture da realizzare o da consolidare, le superfici su cui intervenire in termini di intonaco, quantità di stucchi da realizzare o da riprendere, numero di finestre da montare o da sostituire, mentre i dati tecnici rimandano a prestazioni di involucro, trasmittanze di superfici finestrate ed opache.
Nella progressiva restituzione di un modello digitale, gli oggetti AEC sono gli unici in grado di fornire il giusto flusso di informazioni, non semplici solidi modellati o modelli di restituzione formale, sia pur parametrici, ma non corredati degli attributi geometrici e produttivi sufficienti.
Il rischio infatti è che nel perseguimento della fedeltà formale degli oggetti, non venga costruito quel database dinamico che dà origine a conteggi delle quantità di materiale, delle informazioni tecniche e fisiche di prodotti impiegati. Pertanto se un modello BIM non è costituito da oggetti AEC diventa quasi assimilabile ad una mera rappresentazione 3D e quindi non utilizzabile in un flusso di commessa BIM.
Nella modellazione BIM implementata con Revit esistono però anche oggetti che, per comodità, in questa sede definiremo pseudo AEC. Il motivo di questa nostra definizione è dato semplicemente perché questi non contengono gli stessi dati quantitativi di una famiglia di sistema né sono condivisibili in un catalogo o libreria di oggetti, magari condivisi in un ACdat e resi disponibili al team di modellazione. Questo perché si modellano localmente nei singoli file di progetto secondo schemi di costruzione solida booleani, cioè geometrie ottenute con l’estrusione, estrusione su percorso, rivoluzione, unione e sottrazione di vuoti modellati con le medesime logiche. In Revit questi oggetti prendono il nome di famiglie locali che sono pertanto modellate in maniera diretta e non tramite form di compilazione in cui i parametri sono dichiarati in maniera tabellare come avviene per le famiglie di Revit.
Per chiarire quanto andiamo dicendo, ad esempio, un muro, un solaio, un tetto, interagiscono con le aperture o con i solidi aggiuntivi e sottrattivi, che caratterizzano la forma secondo dei meccanismi cosiddetti di hosting. Non è necessaria ma può essere in aggiunta a complemento, altresì operata un’attività di modellazione di tipo booleano, cioè unendo o sottraendo volumi come nella modellazione solida tradizionale. Tuttavia, le caratteristiche dimensionali, qualitative e grafiche di questi strati sono disegnate automaticamente dal programma, leggendo dei valori tabellati che prendono il nome di parametri, dichiarati in un pannello dedicato che compare quando interroghiamo le proprietà di quell’oggetto, e che si traduce in forme geometriche in qualche modo rigorose. Il termine rigoroso sta ad indicare che una modellazione per parametri non si adatta a riprodurre l’irregolarità delle forme (spessori murari variabili e non paralleli, archi e volte dissimmetrici, capitelli e decorazioni complesse), forme artigianali come quelle degli edifici storici.
Riassumendo dunque, riprodurre un edificio antico in BIM richiede un’operazione di fedele riproduzione delle forme che si dovrebbero tradurre in oggetti, le cui geometrie sono misurabili e quantificate, in modo da poterne classificare l’appartenenza a determinate fasi e tipologie di intervento: generare cioè un raggruppamento logico quantitativo e compilativo delle sue parti, per ottenere una gestione informativa anche delle quantità di materiali da aggiungere, trattare e gestire.
Il flusso di lavoro: dalla nuvola al modello BIM, passando per AutoCAD
Tornando al rilievo architettonico finalizzato all’intervento sui monumenti storici, diciamo che esso è sempre stato caratterizzato da metodologie di avanguardia per l’ottenimento di una riproduzione e del reale stato di conservazione del costruito il più fedele possibile, riportato con dovizia di particolari. Pertanto l’utilizzo delle nuvole di punti, che si è andato diffondendo e perfezionando negli ultimi anni, nonostante i notevoli costi di produzione che comporta, ha consentito di migliorare anche le tecniche di restituzione per semplice tracciatura dell’immagine bi-tridimensionale che si ottiene nella rilettura delle geometrie in vista frontale aerea e sezionata di una nuvola. Ciò perché i CAD in genere ed anche i modellatori di BIM authoring che ne rappresentano l’evoluzione, intercettano i punti stessi delle nuvole come punti di snap, di ancoraggio di punti di grafica vettoriale. La nuvola di punti ha rappresentato un salto di qualità, garantendo una maggior precisione nella restituzione, rispetto alla tracciatura di punti di un’immagine raster acquisita tramite scansione che, per quanto definita sarà sempre imprecisa.
Sono migliorate dunque le tecniche di implementazione della rappresentazione dei dettagli stilistici bidimensionali (sezioni di modanature e fregi decorativi ma anche elementi lapidei portanti, archi, volte, etc.), riproducendo in maniera precisa, anche con l’aiuto documentale di elaborati grafici storici e foto ad alta definizione, i profili 2D che poi possono interagire con la geometria degli oggetti AEC sotto forma di estrusioni, inserti e scanalature. Il flusso di lavoro può pertanto tornare ad includere tra la preparazione delle nuvole acquisite e la modellazione dell’oggetto BIM un passaggio intermedio con AutoCAD, da utilizzare per la rappresentazione bidimensionale. AutoCAD infatti importa, collega e gestisce persino la visualizzazione delle nuvole, includendo alcuni comandi identici a quelli di Recap, ed è adoperato appunto per la generazione di profili bidimensionali da cui ricavare sezioni grafiche essenzialmente polilinee dai piani di taglio orizzontali e verticali che intersecano la nuvola di punti.
I profili bidimensionali ricavati da AutoCAD costituiscono una base per poter modellare con maggior precisione gli oggetti AEC o perlomeno quelli che sono personalizzabili con il loro apporto booleano: operazioni tra solidi, essenzialmente gli inserti dei muri, ma anche balaustre classiche, cornici e marcapiani di aperture, fasce di tetti ed altre forme di decorazioni e stilemi presenti nel monumento da rilevare. È importante rimarcare tale aspetto, perché nella modellazione che in genere si implementa per questo tipo di forme si utilizzano modelli generici in place, quindi impostati direttamente sulle sezioni della nuvola su opportuni piani di riferimento. In sintesi, dunque, nel primo caso abbiamo i dati con scarse potenzialità di modellazione, nel secondo invece una maggiore potenzialità di riprodurre le forme ma con una scarsità di dati.
Le informazioni che deve contenere un modello che si dica digitale
Quale vantaggio, dunque, offre modellare un edificio storico utilizzando gli oggetti BIM piuttosto che i solidi di qualsiasi altro modellatore non parametrico? Molto dipende, come già detto, dalla natura degli oggetti realmente BIM che si sono utilizzati nella modellazione. Per quanto riguarda l’utilizzo di Autodesk Revit, quando la geometria della costruzione è riprodotta con famiglie di sistema - o famiglie caricabili - è possibile ottenere una più completa gamma di informazioni documentali (dati tecnici, fisici, di prodotto) e quantitativi, quali lunghezze, larghezze, volumi, superfici e formule ricavabili dalle suddette variabili, magari per ottenere costi ma anche parametri informativi dedicati e generati specificamente per gestire fasi di cantiere, ordinativi dei materiali da costruzioni e schede tecniche associate. Com’è noto ciò avviene attraverso l’estrazione automatica di una reportistica, quali abachi, distinte di elementi, computi quantitativi di materiali, che costituiscono il cosiddetto veicolo informativo riferito nelle Norme UNI 11337. Inoltre, si ricorda che la terminologia famiglie è specifica degli oggetti AEC di Revit e non di altri programmi di BIM authoring, che comunque operano per oggetti BIM.
Come già detto tuttavia la necessità di una più fedele rispondenza alle geometrie rilevate sul campo, porta ad utilizzare i cosiddetti modelli in place, appunto famiglie locali di muri, porte, finestre, solai, tetti ed anche elementi strutturali, quindi componenti edilizi. Ma per quel che concerne i volumi decorativi si utilizzano oggetti non connotati: i modelli generici locali, nei quali i dati quantitativi e di misurazione sono scarsi.
A titolo di esempio consideriamo il caso rappresentato dalla modellazione in BIM ricavata da una nuvola di punti di una chiesa antica, simile a tante altre presenti nei centri storici dell’Italia centrale, col tipico impianto romanico, rimaneggiato con decorazioni ed aggiunte di epoche successive, costituito dalla navata centrale, le cappelle laterali, la facciata decorata con loggiati sovrapposti, archetti pensili e capitelli stilizzati con decorazioni medievali. Dal modello più o meno impostato, sia pur non completo, estraendo l’abaco delle decorazioni marmoree create con modelli generici in place, le informazioni di tipo quantitativo sono limitate (i soli volumi dei materiali lapidei o degli stucchi) quando invece servirebbe un conteggio esaustivo soprattutto delle superfici, a fronte però di informazioni, comunque garantite perché presenti nella natura degli oggetti utilizzati, quali quelle di raggruppamento e classificazione delle parti.
Gli assiemi, i contrassegni e altri parametri condivisi impostabili in cui si trovano informazioni per zone di collocazione sono utili per un’organizzazione delle fasi di intervento e di cantierizzazione.
Il punto è che per la modellazione di manufatti architettonici storici l’uso di questi oggetti è praticamente prassi abituale, perché i modelli generici locali sono i più idonei per ottenere e garantire la fedeltà delle forme decorative presenti nell’edificio, con la conseguenza di ritrovarsi una reportistica povera di informazioni e inadeguata al tracciamento quantitativo dei materiali da associare alle particolari voci di intervento che interessano la disciplina del restauro architettonico. Le conseguenze impattano anche i modelli disciplinari, cioè strutturale ed impiantistico, perché gli oggetti locali non hanno i corrispondenti elementi analitici per la generazione di modelli di calcolo strutturale, né esistono rapporti di hosting con i subsistemi impiantistici, elettrico, idraulico, meccanico, antincendio, magari presenti o da prevedersi per il cosiddetto recupero integrato di un edificio storico, che in quanto edificio ospiti al proprio interno attività.
CONCLUSIONI
Attraverso le considerazioni trattate finora, il concetto che deve emergere è che l’impiego della tecnologia BIM nella restituzione degli edifici deve essere attentamente vagliato, in rapporto al beneficio che realmente essa possa dispiegare ed alle reali potenzialità di restituzione, attentamente confrontate con i risultati che ci si prefigge di ottenere in termini di risparmio di tempi, costi, flusso efficiente ed utile di informazioni ed infine di spendibilità delle stesse nel facility management successivo dell’opera, sia essa un edificio storico, luogo di culto o di cultura.
A cura di: Architetto Luca Talucci - BIM Expert Descor